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Ai-Tchourek... Come la Luna

Trance, Guarigioni e Riti Sacri di una Sciamana

Psiche
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prefazione degli autori.
pp. 80,
data stampa: 1999
codice isbn: 978888514252

Come la luna veloce degli amanti
«Sono nata in un piccolo villaggio di nome Bertag, poche case in legno e molte yurte per i pastori.
Vicino al paese, al di là del fiume, c’era un alto monte, chiamato Montagna Bianca, dimora leggendaria dell’uccello bianco; il suo profilo rassicurante ci proteggeva.
In autunno, quando appariva il sole rosso, i nomadi innalzavano le loro yurte per l’inverno e chiamavano uno sciamano a celebrare il rito del Sacro Fuoco.
Mi ricordo il picchiettare insistente delle mazze degli uomini sui pali in legno, mentre le donne si affaccendavano attorno alle pelli. Una volta terminata la costruzione, si trasportavano le masserizie nell’interno della yurta e poi si preparava il fuoco nel centro.
Dopo aver accuratamente predisposto le offerte di cibo sacro, burro, tabacco, dolci e archy, lo sciamano faceva accendere il fuoco agli uomini più anziani del clan e dava l’avvio alla celebrazione del rituale.
Lo sciamano chiedeva per tutti i membri del clan una vita felice in famiglia, buona salute per i bambini e protezione del luogo prescelto per svernare.
I suoni possenti del tamburo salivano fino al cielo, la costellazione dell’Orsa Maggiore iniziava a ballare e, nella sua danza, coi suoi movimenti leggeri, donava calore e forza agli uomini raccolti sotto la tenda.
Tutto avveniva di notte, perché la preghiera notturna era considerata più potente e anche perché si aveva timore delle rappresaglie del partito.
Molti dei miei antenati erano stati catturati e portati oltre le montagne Sajan, e da lì non erano più tornati. Erano tempi in cui non si poteva parlare apertamente della nostra magia.
Mi ricordo una volta in cui arrivò un elicottero che riempì il villaggio di volantini coi quali s’invitava la popolazione a denunciare l’esistenza degli sciamani che ancora vivevano lì.
C’era scritto che il comunismo era il nostro futuro, che era arrivata la nuova era e che la verità era nel comunismo. Gli sciamani stessi dovevano consegnarsi nelle mani dei responsabili del partito.
Poi tre paracadutisti scesero dal cielo, io avevo molta paura e mi nascosi sotto il letto perché pensavo che fossero venuti a prendermi, che fosse iniziata la guerra. Fu mia madre a scovarmi lì sotto e a tranquillizzarmi: certo non era scoppiata la guerra, ma non dovevo parlare a nessuno delle voci delle pietre magiche, dei miei giochi al cimitero e delle mie conversazioni col vento.
“No, mamma, non dirò niente a nessuno, - dissi mentre uscivo allo scoperto - basta che non mi portino via.”
Nel mio villaggio si erano conservati molti luoghi magici ed era lì che avevano iniziato a manifestarsi le mie stranezze.
Era lì che avevo imparato a sentire il vento; a volte erano venti buoni, a volte allegri e divertenti, a volte portavano cattivi presagi.
Era lì che avevo iniziato a udire le voci.
Adoravo andare a giocare sulle tombe nel cimitero, le voci mi parlavano e io cucinavo delle minestre deliziose per gli Spiriti che popolavano quei luoghi. Mia madre, però, mi rimproverava e mi diceva che quello non era un luogo adatto ad una bambina, cercando di dissuadermi dal frequentarlo perché temeva che avrei potuto destare l’attenzione e i sospetti dei delatori.
Così cambiai destinazione alle mie peregrinazioni solitarie. Non avevo amici perché spaventavo gli altri bambini con i miei racconti; di notte raccoglievo dei sassi e poi spiegavo loro che attraverso di essi avrebbero potuto entrare nella luna e che lì sarebbero rimasti per sempre. Tutto ciò appariva molto strano; non desideravano stare lassù per sempre, volevano tornare a casa dal papà e dalla mamma. E per paura delle cose che preconizzavo preferivano lasciarmi sola.
Una volta ero seduta fuori casa e giocavo all’aria aperta quando vidi comparire all’improvviso cinque venti, mi dicevano delle cose cattive, così corsi a casa da mia madre spaventata. Mia madre cercò di tranquillizzarmi dicendomi che era stata una mia impressione, di non piangere, che non sarebbe successo nulla di brutto. Però, proprio quella notte, cinque giovani andarono nella taiga a raccogliere noci e morirono travolti
dai trattori che si erano capovolti, sul sentiero che li stava riportando verso il villaggio.
Iniziava in questo modo a manifestarsi il mio dono di chiaroveggente, ma le comunicazioni che mi giungevano da questo mondo sottile erano
spesso terrificanti.
Una sera, quando abitavo ancora a Bertag, era già buio e mia sorella non mi lasciava uscire a giocare con gli altri bambini perché ero troppo piccola. Io vidi che mio fratello sarebbe morto, per cui iniziai a protestare dicendole di lasciarmi andare perché vedevo cosa sarebbe successo da lì a poco e dovevo scongiurarlo. Lei rimaneva insensibile alle mie proteste, allora mi divincolai e la graffiai, uscii di casa e scappai in strada.
Lì, proprio come nella mia visione, c’era mio fratello appeso ai fili di un traliccio caduto da tempo. Noi bambini di solito giocavamo arrampicandoci su questo palo e buttandoci poi di sotto. Lui aveva fatto lo stesso, ma si era impigliato ai fili e rischiava di morire strangolato.
Ero in preda al panico, non sapevo cosa fare per aiutarlo, in strada non c’era più nessuno. All’improvviso vidi sopraggiungere un vecchietto un po’ ubriaco, gli corsi incontro chiedendogli aiuto. Lui prese un martello che trovò in un pagliaio lì vicino e tranciò in qualche modo i fili.
Mio fratello cadde pesantemente a terra, ma si liberò dalla stretta. Stette molto male, ma dopo quattro giorni lo dichiararono fuori pericolo, gli rimase soltanto un segno sul collo.
Gli avevo salvato la vita.
La mia infanzia trascorreva in solitudine, avevo pochi amici e passavo il mio tempo nella taiga, trasportata dai fremiti della natura che mi chiamava.
Per fortuna mio padre ogni tanto mi portava con sé nel bosco e mi raccontava le storie che appartenevano al nostro popolo.
Una volta scorgemmo delle casupole alquanto strane, sembravano uscite da una favola di Baba Jaga.
“Guarda, Ai-Tchourek, - mi spiegava - sono le ciadyr gurzhe, lì all’interno si compivano delle cose magiche. Ricordati di questo perché ora ci sono degli uomini malvagi che stanno distruggendo tutto, vogliono rubarci la nostra terra e bruciano la memoria della nostra patria.”
Io avevo sentito parlare del nonno Lenin e del padre Stalin, ma non avrei mai creduto che fossero loro i cattivi a cui alludeva mio padre.
“In queste isbe vivevano in solitudine gli sciamani, ma le erigevano solo nei luoghi magici, come questo ad esempio, vicino ad una grande quercia. Ne avevano diverse, forse tre, cinque o sette, come i numeri magici. Tutte venivano costruite nei boschi e loro si spostavano da una all’altra. Quando sentivano che la morte era prossima, vi si rifugiavano appendendo all’interno i loro costumi ed il loro tamburo.”
“Ma come, e non diventavano pazzi? - chiedevo io, pensando alle voci che mi facevano sentire così diversa - Come potevano vivere sempre da soli?”
“È proprio così, bambina, lì vivevano solo gli sciamani considerati pazzi, ma erano anche i più potenti. Nessuno li poteva trovare, vivevano vagabondando nella taiga, ma loro stessi, quando c’era un problema, si presentavano nella yurta dove c’era bisogno del loro aiuto. Comparivano d’improvviso quando una persona stava male; i bambini si nascondevano atterriti, loro curavano l’ammalato e poi sparivano nel bosco con il cibo che veniva loro offerto.”
“Ma come facevano a capire chi aveva bisogno del loro aiuto?” - insistevo io, meravigliata da un tale racconto.
“Figlia mia, ascoltavano le informazioni che venivano loro portate dagli alberi e dalla terra, e capivano da quale direzione giungesse il messaggio di aiuto. A volte era il vento a sussurrare nelle loro orecchie.”
“Ma come? - mi meravigliavo ancora di più - Come con me, quando mi dicono che succederà qualcosa di brutto?”
Mio padre procedeva nel suo racconto, mentre con grandi falcate attraversava la radura, passando accanto ad una isba sciamanica.
“Sai, loro gioivano completamente di questa vita nella natura, udivano i suoni degli elementi, ascoltavano gli uccelli, ballavano nella sconfinata taiga. Proprio qui si radunavano molti sciamani e danzavano per tre giorni e tre notti, senza fermarsi mai, senza stancarsi mai. Le persone comuni non potevano avvicinarsi durante questi rituali,
perché erano troppo potenti. Di questo non c’è scritto niente nei libri, bambina, sono tutte
cose raccontatemi da mio padre, e a mio padre gliele ha raccontate suo padre. Non dimenticarti, Ai-Tchourek, anche tu le racconterai un giorno a tuo figlio.”
Io lo ascoltavo, guardavo il tramonto e come al solito sentivo il desiderio di correre nel sole e di fondermi nella sua luce.
Succedeva spesso che io fossi attirata dai tramonti del sole, correvo lontana lontana nella taiga e mi perdevo. Altrettanto spesso mi ritrovavano in posti particolari, addormentata sopra delle tombe antichissime. Venivo chiamata dalle voci e mi dirigevo dove loro m’indirizzavano.
Una volta, in primavera, convinsi tre bambini a venire insieme a me incontro al tramonto, ma quella volta finì tragicamente perché essi morirono congelati.
Abitavano in una yurta vicino al villaggio; quel giorno, come capitava spesso, io correvo
verso il sole, incurante di qualsiasi cosa, quando essi si avvicinarono per sapere dove andassi, forse a fare qualche nuovo gioco? Risposi che andavo dal sole, che lì era meraviglioso. Mi seguirono.
Ci allontanammo molto, ed in particolare io che, presa dal desiderio di avvicinarmi al sole, di nuotare nella sua luce di fuoco, ero andata ancora più lontano degli altri. Scese la notte e il mattino seguente ci ritrovarono tutti congelati; subito ci portarono all’ospedale, io fui l’unica a sopravvivere e seppi della loro morte qualche tempo dopo. Nessuno pensò mai che fossi stata io a portarli verso il sole, anche perché quando mi ritrovarono io ero la più lontana, ero tutta sola ed ero anche la più piccola.
La Siberia non perdona, ma io ne ero inconsapevole, seguivo solo il mio desiderio di stare nel sole, seguivo solamente le voci che mi chiamavano. Non capivo che ero più forte degli altri, che non potevo esporli ai pericoli a cui mi esponevo io stessa. Non sapevo ancora di possedere una protezione speciale da parte degli Spiriti.
Io non potevo morire, ero stata prescelta, la via da percorrere era ancora lunga e i Padroni della Terra iniziavano a trasmettermi i loro insegnamenti.
Una volta, la sera, ero a casa da sola, ma, ad un certo punto, vidi spuntare, da un angolo del pavimento, un topolino che iniziò a dirmi delle cose.
Improvvisamente scomparve, ma di lì a qualche minuto ritornò con tanti altri topi e si misero a discutere concitatamente. Terminata che fu la discussione mi portarono, trascinandolo fino ai miei piedi, il topo più anziano. Io accennai una carezza.
Capivo confusamente che mi avevano fatto un grande onore, era un segno di rispetto nei miei confronti, volevano che io vedessi il capo clan, che lo accarezzassi e che gli accordassi la mia protezione.
Fu un grande insegnamento, capii che anche gli animali invecchiavano come le persone e che necessitavano delle stesse cure e della stessa affettuosa sollecitudine. Loro non avevano paura di me, come succede di solito, volevano che facessi loro del bene e, così, sentii dentro di me una grande compassione, potevo far del bene agli animali come alle persone.
Ero una bambina, ma in qualche modo capii che era molto importante cercare di sviluppare la compassione per gli altri, solo così questo mondo avrebbe potuto migliorare ed esserci la pace tra gli uomini, solo così gli elicotteri in cerca di colpevoli avrebbero smesso di turbare i sogni dei bambini.
Ma il periodo felice della mia infanzia stava per terminare, finirono i racconti degli avi, finirono le corse nella taiga e finirono anche i tramonti infuocati.
Mia madre morì e dovetti crescere in fretta.
Come la luna veloce degli amanti, che sorge e tramonta impercettibilmente.»

Indice:

PREFAZIONE
Come la luna dopo la tempesta
Come la luna veloce degli amanti
Come la luna nera
Come la luna bianca
Come la luna dalla coda
Come la luna
POST-FAZIONE
Note

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