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Di Diodoro, nativo di Agirio (odierna Agira) in Sicilia, si conoscono solo le poche notizie comprese nella sua opera. Nato probabilmente attorno al 90, morì circa il 20 a.C.; visse cioè al tempo di Cesare e ai primi anni di Augusto. Egli dice di avere voluto comporre un'opera nuova, una storia universale, che comprendesse anche il periodo mitico e giungesse sino ai suoi tempi, e che per fare questo aveva lavorato per trenta anni e aveva visitato buona parte dell'Asia e dell'Europa (I 4,1). Dimorò per un certo tempo a Roma, fu certo anche in Egitto e probabilmente in Alessandria. Nel suo soggiorno romano ebbe a disposizione quantità di materiale librario e documentario, di lingua greca e di lingua latina, quale poteva offrire la capitale dell'impero. Egli dichiara di avere imparato il latino ancora nella nativa Agirio, per i frequenti contatti colà avuti con i Romani (I 4,4).
La Biblioteca storica, strutturata in quaranta libri (non tutti sono però giunti interi sino a noi), è stata eseguita attingendo a numerosi autori, i più dei quali a loro volta sono andati perduti, sì che Diodoro ha anche il merito di averceli conservati. La sua opera, nel tentativo di aver creato un sincronismo soprattutto greco e romano, ha una grande importanza per la cronologia, ed è inoltre oggi generalmente assai rivalutata. Si riconosce che essa non è una mera compilazione, e che Diodoro vi esprime la sua personalità, conferendole quindi un carattere unitario. Ispirata a concezioni di derivazione stoica e universalistica, si propone il fine morale di un insegnamento utile, per cui la storia è «custode dei valori degli uomini memorabili, testimone della malvagità dei perversi, benefattrice dell'intero genere umano» (I 2,2).
Tradotta in italiano da Giuseppe Compagnoni nel secolo scorso (1820-1822), quando inoltre non erano ancora stati scoperti parte dei frammenti, essa viene ora riproposta al completo di quanto la critica moderna le attribuisce.