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La Massoneria nelle Due Sicilie e i «Fratelli» Meridionali del '700 - Vol. VI

Appendici. Indici generali

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Prefazione di Carlo R. Ricotti
pp. 160, 21 ill. b/n f.t., Roma
data stampa: 2014
codice isbn: 978884922826

Malgrado uno splendido sole estivo, Napoli si destò, il 27 luglio 1789, sotto una "cappa di piombo". Le prime sconvolgenti notizie sui moti parigini erano, infatti, pervenute all'attonita corte borbonica che, investita all'improvviso da un lontano evento, era ben consapevole delle inevitabili ripercussioni sul futuro assetto europeo. La possibilità di un imminente coinvolgimento del Regno delle Due Sicilie nel "disegno" rivoluzionario suscitò un vero e proprio senso di panico nel governo. Estirpare alla radice l'innesto delle nuove ideologie eversive, onde evitare il loro attecchimento all'interno della Nazione, divenne il principale obiettivo dell'autorità inquirente. Il nemico da abbattere venne, ben presto, individuato nella massoneria, i cui membri erano, da sempre, aperti alle nuove istanze riformatrici del '700. Il real editto del 3 novembre 1789 contro i liberi muratori fu la naturale conclusione di una campagna denigratoria orchestrata da una magistratura e da una polizia asservite al potere centrale, sobillate, tra l'altro, da un clero assetato di rivincita, dopo anni di politica anticuriale. Malgrado il generale risentimento per un provvedimento ingiusto, le logge regolari, in gran parte fedeli alla corona (i Nazionali di Diego Naselli dei principi di Aragona e i Provinciali di Cesare Pignatelli, duca di Rocca Mandolfa e di San Demetrio), furono immediatamente "demolite" dai rispettivi Gran Maestri. Anche le altre logge, le cosiddette spurie (Jerocades, principe di Sansevero, principe di Strongoli, Testaferrata), rispettarono le sovrane disposizioni. L'ordinanza di Ferdinando IV innestò, però, due gravi ed irreversibili processi. Il primo fu quello di respingere una parte dei "fratelli", già leali servitori dell'ordinamento monarchico, verso posizioni d'intransigente autodifesa, spesso collimanti con lo spirito rivoluzionario e repubblicano d'oltralpe, e il secondo di generare un'incontrollabile dispersione dei singoli massoni verso forme di organizzazione più o meno clandestina (dalle accademie ai salotti culturali, dai cenacoli alle conversazioni). Solo dopo l'arrivo (16 dicembre 1792), nella rada di Napoli, della flotta francese, guidata dal "fratello" Latouche-Tréville, si concretizzò, dapprima nella capitale e poi in provincia, un'effettiva opposizione al regime borbonico. Alcuni giovani massoni sostituirono, sulle ceneri dell'antica istituzione latomica, la loggia con un modello associativo che, importato dalla Francia, era destinato essenzialmente alla lotta politica. Privo di formalità ritualistica e franco da dottrine di carattere iniziatico e spirituale, il club rappresentò un valido strumento cospirativo, i cui membri furono protagonisti dei futuri eventi della storia meridionale, dalla cosiddetta "congiura giacobina" del '94 alla Repubblica Napoletana del '99. Ineluttabile sarà l'epilogo di tale metamorfosi (o "profanazione", secondo i princípi massonici): un "bagno di sangue", ovvero un icastico "atto di purificazione".

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