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Composta nel 1785, quattro anni prima dello scoppio della Grande Rivoluzione, mentre il Marchese De Sade si trovava prigioniero alla Bastiglia, «Le 120 giornate di Sodoma» rappresenta il quadro gigantesco e terribile degli effetti del libertinaggio sull'animo umano, travagliato da una fondamentale cosmica spinta istintiva al crimine ed al delitto.
Attraverso le raccapriccianti perversioni di quattro illustri rappresentanti dell'Ancien Régime, riuniti in un castello al di fuori del mondo, lontani dal controllo delle leggi umane come divine, decisi a percorrere fino in fondo, senza limitazioni di sorta, la strada allucinante ed ossessiva della soddisfazione integrale degli istinti, figure e fatti vengono a stagliarsi indimenticabili, su uno sfondo a forte rilievo, perfettamente storicizzato in un'epoca e in un costume, ma universale, come ogni opera d'arte, per l'indagine accurata e desolantemente pessimistica delle prospettive e dei progressi dell'umanità. Basterà riflettere agli orrori dei campi di sterminio nazisti, razionalmente voluti e programmati con freddezza e determinazione, e ben si comprenderà come il Duca De Blangis, il Vescovo suo fratello, il Presidente Curval, e il finanziere Durcet (un nobile, un ecclesiastico, un alto funzionario, un banchiere) non rappresentano solo un ancien régime, ma tutti gli anciens régimes, che anche le Grandi Rivoluzioni non sono riuscite a sconfiggere e a far sparire.
In questa prospettiva «Le 120 giornate di Sodoma» acquista indubbiamente una carica contestativa e dissacrante che spiega assai bene le vere ragioni dell'accanimento con cui ogni autorità costituita si è battuta contro questa opera, sequestrata in Francia, mai stampata in Italia, la più «proibita» tra le opere del Divino Marchese.