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Nella scansione dei generi letterari andrebbe introdotta la categoria degli "inimmaginabili", per accogliere la fioritura di quelle opere che vanno oltre l'inattualità. Così remote ai condizionamenti e alle compiacenze del presente che turbano e confondono, ma perciò liberano e rischiarano. Opere che destano 'meraviglia' e rigenerano le ali perdute, arcaiche, del pensiero, e dilatano i confini del pensabile. Opere che hanno il chiarore e il valore dell'aurora. A tale categoria appartiene il capolavoro di de Gobineau. Inimmaginabile, oggi, l'ispirazione che lo anima: voler analizzare la storia a partire non dal dominio basso e promiscuo della robba e dei maneggi monetari, ma da quello metafisico del genio etnico. Inimmaginabile la sicurezza con cui l'autore estrae dalla concretezza corporea indizi dell'incorporeo e ritorna alla sapienza greca: "il carattere dell'uomo è il suo destino". Inimmaginabile la sicurezza con cui l'autore estrae dalla concretezza corporea indizi dell'incorporeo e ritorna alla sapienza greca: "il carattere dell'uomo è il suo destino". Ethos (carattere), ethnos (stirpe, razza). Non c'è solo assonanza tra i due vocaboli: la razza è il carattere dei popoli ed è il fondamento su cui poggia la ventura individuale. De Gobineau descrive le proprie intuizioni in termini scientifici - ed è forse la parte più caduca dell'indagine. Si rimette a un gergo 'positivistico' per classificare le razze e i destini dell'uomo, per ordinare le forme dell'umano. Ma tutta poetica è l'intuizione che eleva il pregio di quest'opera: quando si evoca il prodigio etnico, quegli Arii ancora puri (corpo e cuore) che sorgono qua e là, incorrotti dalle mescolanze razziali che fiaccano e deprimono l'Europa; quei "colpi a segno della specie" di nietzscheana memoria, fiori di ciliegio nella tenebra moderna, l'eccezione che dimostra quanto meschina e opaca e infelice sia la regola (regola?) del meticciato.