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In una cornice frammentaria, nella quale affiorano i ricordi personali dell’autore e che dà alla sua enciclopedica operazione antiquaria il sapore e la vivacità del dibattito culturale umanistico, i Giorni di festa (Geniales dies) del giureconsulto napoletano Alessandro d’Alessandro (1461-1523) procedono di capitolo in capitolo affrontando al di fuori di un’organica architettura e di un ordine prestabilito gli argomenti più eterogenei riguardanti il mondo antico: dalla storia agli ordinamenti militari, sociali e religiosi, al diritto pubblico e privato e alla vita quotidiana, da questioni di filosofia, scienze naturali, archeologia, grammatica e critica testuale alle curiosità, alle leggende, alle arti magiche e alla superstizione.
Spacciati dall’autore come materiali estemporanei raccolti durante le veglie notturne, il passatempo dei rari momenti d’ozio sottratti alle occupazioni forensi, i sei libri dei Geniales dies sono testimonianza dei fasti perduti di una civiltà, quella napoletana, ormai in crisi: crisi che ingenera nei suoi intellettuali, nutritisi degli ideali umanistici alla scuola del Pontano, disorientamento e sentimento di decadenza, ma anche per rivalsa bisogno di sottolineare la loro appartenenza al contesto culturale italiano.
Da questo punto di vista l’opera del d’Alessandro, edita per la prima volta a Roma nel 1522, rispecchia a pieno le tendenze dell’Umanesimo italiano tra fine Quattrocento e primo Cinquecento, anche se poi le curiose disquisizioni su fantasmi, sogni, visioni e creature mostruose, sembrano riportare alla preminente impostazione scientifica – in senso ancora medievale – della cultura napoletana, universitaria e non, a cavallo tra i due secoli.
Molto fortunati sino al tardo Seicento, da Croce definiti «libro della cultura europea», i Giorni di festa, difficilmente accessibili ai lettori moderni, vengono ora qui proposti in un’ampia scelta: «se ora non rendono i servigi che un tempo resero, non è certo questa una buona ragione perché anche gli eruditi li dimentichino affatto. Qualcosa ne trarranno, se li riapriranno».