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Secondo una tradizione, l'imperatore che fece costruire la Grande Muraglia Cinese ordinò anche che tutti i libri fossero arsi. L'aneddoto può essere leggenda, ma è difficile sottrarsi alla sua suggestione: la distruzione dei libri, e cioè dell'eredità culturale di un popolo, e la contemporanea edificazione di un muro, che segrega questo popolo dalle influenze esterne, evocano irresistibilmente un tentativo radicale di rimodellamento dell'uomo. Muraglia e roghi delimitano e sgombrano la scena per l'inizio di una nuova Storia, in cui appariranno ruoli e personaggi mai apparsi prima. Se questo era il suo folle disegno, l'imperatore falli: la sua figura fu riassorbita nella maestosa continuità della storia cinese, e quanto resta della Grande Muraglia appartiene oggi al passato della Cina insieme ai libri che scamparono alle fiamme. Ma oggi il mondo, perplesso e sbigottito, osserva, o indovina, settecento milioni di cinesi coinvolti in un'impresa che assomiglia a quell'antico esperimento: a molti, la Cina dà l'impressione di un grande enigmatico laboratorio, in cui si prepara un nuovo tipo di uomo, che forse sarà il protagonista del futuro. I giornali collaborano ad accrescere l'inquietudine sottolineando gli aspetti esotici, bizzarri, «marziani» della realtà cinese, presentando il poco che si sa come manifestazione evidente di fanatismo e follia. Sulla base di notizie monche e probabilmente deformate, il lettore si chiede inquieto: «Dove va la Cina?». A questa domanda ha cercato di rispondere Robert Guillain, redattore specializzato in questioni estremo-orientali del piti autorevole quotidiano francese, «Le Monde». Dove va la Cina?: interrogativo fondamentale, perché la misura della realtà cinese è nel suo futuro, nel suo esito. Ma Guillain non si è lasciato intrappolare dal gioco arbitrario delle previsioni: sua prima preoccupazione è stata quella di assolvere al dovere di un'informazione esauriente, equilibrata, sgombra di pregiudizi. Il libro è una limpida, ragionata esposizione di quanto Guillain poté osservare durante un viaggio compiuto nel 1964: in un periodo, cioè, di «rettifica»; successivo al fallimento del grande «balzo in avanti» lanciato nel 1958, alle disastrose annate agrarie del 1959-60-61, alla rottura con i russi, e di poco precedente l'avvio della cosiddetta rivoluzione culturale. Coordinati gli uni agli altri, gli aspetti anche più aberranti e strani della realtà cinese diventano, nel reportage di Guillain, comprensibili: connessa con i problemi di un paese immenso, arretrato e orgoglioso, xenofobo per umiliazioni antiche e recenti, la politica di Mao e dei suoi seguaci appare «logica», anche se non necessariamente tutta da approvare. Per fare un solo esempio: la prolungata castità cui si cerca di persuadere alcune centinaia di milioni di giovani non nasce dal gusto perverso di stimolarne l'aggressività, né da bigottismo ideologico, ma dallo spaventoso problema demografico: è un surrogato della «pillola», che la Cina non può produrre in scala adeguata. Industria, agricoltura, tenore di vita, arte, bomba e triciclo diventano, in questa prospettiva, tessere di un mosaico accessibile, e non elementi di un astruso puzzle; e l'acutezza dell'autore è confermata dalla luce che Dove va la Cina? getta sulle origini, sulla preistoria degli ultimi e più sconcertanti fenomeni, compresa la rivoluzione culturale.