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È un luogo comune della teologia, da San Dionigi l'Areopagita in poi, che tutto ciò che possiamo conoscere di Dio in questo mondo è ch'Egli è, e ciò ch'Egli non è. Ma bisogna star bene attenti a non esagerare il senso di questa proposizione antitetica, né dire che noi conosciamo Dio solo per negazioni, sospendendolo nel vuoto e spogliandolo d'ogni rapporto con questo mondo ch'Egli ha fatto. Una simile concezione rasenta l'eresia. Noi conosciamo Dio non solo negativamente, come hanno affermato con insistenza San Bonaventura e tutta la sua scuola. Quando noi apprendiamo di Dio che Egli è, secondo la rivelazione fatta a Mosè nel Roveto Ardente, cogliamo in Lui l'essenziale, quel verbo stesso che in noi e in tutti gli esseri creati serve da substrato a tutte le particolarità sensibili e intelligibili. E quando nello stesso tempo diciamo di conoscere anche ciò ch' Egli non è, giacché ogni assenza ha la sua ragion d'essere, noi arricchiamo la nostra conoscenza di Dio attraverso questo metodo particolare per cui Egli trabocca oltre un insufficiente ricettacolo, o lo nega. Infatti è cosa tutta diversa non essere questo o quello che non esserci. Dio non è la tale o la tal altra cosa, ma Egli è in ogni cosa, o meglio ogni cosa è in Lui, come c'insegna San Paolo. Quando noi invitiamo tutte le creature, una dopo l'altra, a proclamare la loro impotenza a esistere da se stesse e la loro vocazione a essere presenti in questa o quella figura, a rimpiazzare, a rappresentare l'Essere assoluto nel regno del particolare, e l'Eterno in quello del temporaneo, noi popoliamo d'una nota, d'una voce di più, l'immensa gamma della nostra confessione.
Della presenza di Dio
La sensazione del divino
Ecce Virgo concipiet
Moab o la retrocessione d'Israele
Note sugli Angeli
Note