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La morte occupa, nell'esistenza umana, uno spazio che non è solo quello mentale, della paura e della curiosità per il «dopo», ma è anche quello fisico, dei luoghi occupati dai riti e dai bisogni della sepoltura. La continuità tra vivi e morti, è così pure contiguità di spazi e di forme. Mentre la tomba assume le fattezze di una seconda casa e il cimitero si costruisce come «doppio» deale della città, gli uomini si abituano a convivere con la morte ovunque presente, con piccoli e grandi segnali, nel perimetro cittadino.
Le chiese, i monumenti funebri (specialmente quelli dedicati ai caduti in guerra), i recinti sepolcrali, sono le tappe che scandiscono un percorso urbano lungo il quale la città dei vivi costantemente incrocia la città dei morti. Solo col tempo, ovviamente, tende a modificarsi questo stretto rapporto spaziale. La fisica centralità della morte medioevale, esaltata dai supplizi pubblici sulle piazze o dalle lugubri processioni funerarie, cede il posto, a partire dalla rivoluzione francese, ad un allontanamento dalla testimonianza della fine della vita celebrato oggi nei cimiteri-grattacielo e negli anonimi ospedali-obitorio della nostra civiltà.