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La grande tradizione magico-ermetica rinascimentale ha profonde radici medievali, così come la «grande paura» e la grande vergogna dell'Occidente protomoderno: la stregoneria e la caccia alle streghe. Tra magia e stregoneria i nessi sono molteplici e profondi, ma qualificanti le differenze. Lo stregone - e poi, con frequenza crescente, la strega - si configura sempre più come un emarginato, un deviante, il custode più o meno consapevole di una Weltanschauung alternativa rispetto ai poteri costituiti e alla cultura egemone. La strega resta un simbolo di contraddizione nell'Europa cristiana, una consolatrix afflictorum dei miseri e dei disperati: medichessa e ruffiana, ostetrica e procuratrice d'aborto, custode dei segreti più riposti del cuore di chi le si rivolge e mercantessa di meraviglie, dispensiera di veleni e di filtri erotici, d'amore e d'odio, di vita e di morte. Dinanzi alla Chiesa che insegna la confidenza nella volontà divina e che addita la via dell'ordine gerarchico e dell'ortodossia dogmatica, la strega vende a pochi soldi la speranza nella propria volontà, nel proprio io, in una felicità che - sia amore corrisposto, sia ricchezza raggiunta, sia vendetta compiuta si coglie, si sfrutta, si gode su questa terra. La strega vende illusioni a chi ne ha bisogno per affrontare l'esistenza. Non stupisce quindi che, oggi, emarginati e nonconformisti la scelgano ancora una volta a loro simbolo, a loro bandiera.