Dioniso, ambivalente dio della Vita Transpersonale ed Eterna, del transito epocale tra “natura” e “cultura” e delle fasi liminali tra situazioni opposte, personifica la dismisura e l’autocontrollo, ma anche la danza e l’estasi alcolica, l’ambiguità sessuale e il teatro, riflesso, oggi, nella “teatralizzazione” dei selfie. I simboli dionisiaci della maschera e del Carnevale sembrano riattualizzarsi nei tatuaggi e nei piercing – inconscio retaggio dei riti di passaggio – nelle acconciature primitivistiche, nei pantaloni strappati dei nostri giovani, nell’uso ornamentale di teschi e rosari, di sottovesti in luogo di abiti da sera, inversioni che hanno addirittura influenzato la moda degli ultimi trent’anni.
Se è vero quanto emerge dagli studi antropologici e psicoanalitici, che solo un riferimento mitico adeguato possa offrire possibilità interpretative di situazioni critiche, l’archetipo dionisiaco, riattualizzatosi inaspettatamente nei barbarismi compensanti la corsa al progresso della nostra epoca tecnologica, parrebbe, all’inizio del Terzo Millennio, il più adeguato a consentirci di indagare sulle nostre patologie.