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L'Eremita di Antonio de Ferrariis Galateo ha avuto nel corso dei secoli una strana fortuna: composto in un periodo di profondi rivolgimenti politici e culturali, alla fine del Quattrocento, sembra che non abbia avuto grande circolazione tra Cinque e Seicento. Fu riscoperto, nel corso del secolo XVIII, da un gruppo di eruditi, quasi tutti salentini, e suscitò curiosità per tutto il secolo XIX, fino alla sua prima edizione a stampa, realizzata a Lecce nel 1875 a cura di Salvatore Grande. Fu però Gothein a segnalare l'importanza di questo testo alla critica nazionale e internazionale, mettendone in rilievo i caratteri anticuriali e la straordinarietà della metafora utilizzata. L'Eremita è infatti un dialogo dei morti, ambientato alle soglie del Paradiso, che vede protagonista un vecchio e santo eremita salentino, la cui anima subito dopo la morte viene contesa da un diavolo e da un angelo, in una tipica disputa per l'anima di carattere medievale, che è il primo significativo indizio della ricchezza dei modelli che Galateo ebbe presenti nell'ideare l'opera.
Approfittando dell'ingresso in Paradiso di un gruppo di beati, tra cui i re aragonesi di Napoli, il vecchio eremita tenta di introdursi nei Campi Elisi ma viene bloccato «in primo vestibulo» da san Pietro. Si apre a questo puma il dialogo vero e proprio e si susseguono diversi quadri scenici nei quali molti beati sono chiamati da Pietro a scacciare l'intruso. L'eremita, però, per dimostrare la propria innocenza, non esiterà a porre sotto accusa i propri interlocutori e a ricordare a tutti i santi i peccati da loro commessi in vita. Alla fine, come una dea ex machina, la Madonna giungerà a risolvere un intreccio che appariva inestricabile, ammettendo l'anima del vecchio eremita in Paradiso.