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Vitruvio distingue cinque specie di atri, che dalla loro conformazione denonima tuscanico, corintio, tetrastilo, displuviato e testudinato. Se la costruzione delle prime quattro forme di atri è ovvia, sia per la chiara descrizione di Vitruvio stesso, sia per il largo numero di monumenti che hanno avvalorate le sue parole, non può dirsi lo stesso per l'ultima specie di atrio menzionata.
«Testudinata vero ibi fiunt ubi non sunt impetus magni et in contignationibus supra spatiosae redduntur habitationes». Invero troppo poco circa la costruzione di questa specie di atri ci ragguagliano le parole dell'architetto romano: da esse non è lecito ricavare altro, che tali specie di atri erano di possibile costruzione dove non fosse eccessiva la larghezza dell'ambiente e che essi permettevano un più ampio sviluppo dell'edificio superiore. E che la notizia fosse troppo laconica e tutt'altro che chiara, risulta dalla libertà con cui si credette di poter tradurre e interpretare il passo vitruviano e dalle divergenze fra le varie illustrazioni.
Ora, i punti oscuri da chiarire sono due: come fosse costruito un atrio testudinato: che posto esso occupi nella successione cronologica delle cinque specie di atri menzionati da Vitruvio, cioè quale grado abbia nello sviluppo architettonico delle coperture degli atri.
I vari traduttori e commentatori di Vitruvio non hanno fatto alcun conto del significato intrinseco della parola testudinato, dell'etimologia del vocabolo ed hanno cercato variamente di conciliare il senso del termine con le esigenze costruttive di un tetto, che doveva permettere lo sviluppo delle abitazioni soprastanti.