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«Con le coppe magiche, ciotole di argilla di rozza fattura, gli scribi aramaici della Mesopotamia sasànide (IV-VII sec. d.C.) ci hanno trasmesso un interessante repertorio di formule protettive, esorcismi e historiolae, concepiti per difendere i committenti dalle minacce di oscure forze demoniache e dal malocchio.
La pratica magica documentata da questi oggetti ha suscitato una pluralità di interessi filologici, storico-religiosi, antropologici e, anche se in parte minore, archeologici.
Nell'ambito della filologia semitica le coppe magiche sono comprese nel campo degli studi aramaici e in particolare riguardano il periodo dell'aramaico tardo (III-VIII sec. d.C. circa) di area mesopotamica. Esse presentano infatti un'ampia serie di testi in aramaico giudaico babilonese, in mandaico, e, in minore percentuale, in siriaco. Le tre varietà aramaiche elencate sono tradizionalmente raggruppate nella categoria geografica di "aramaico orientale", nel più ampio quadro cronologico dell'aramaico tardo.
Sin dai primi studi sulle lingue impiegate nei testi delle coppe magiche è risultato evidente che tali idiomi non riflettevano i modelli linguistici della letteratura coeva (in particolare l'aramaico giudaico babilonese documentato dalle coppe si distanzia marcatamente dalla lingua del Talmud babilonese). In tale ottica una serie di analisi e di ricerche iniziate nella seconda metà del secolo scorso si è occupata di individuare, elencare e spiegare le differenze fondamentali tra lingue letterarie come l'aramaico giudaico babilonese (AGB), il mandaico (M) ed il siriaco (S) e le rispettive varianti attestate nelle coppe magiche (AGRC, M.C, S.C).[…]»