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Sulla sfera politica si è scritto a lungo e parecchio, ma sempre e solo in una direzione: quella del razionalismo politico, in cui la politica, coloro che la esercitano, le motivazioni che ne sono alla base, le strategie (occulte o palesi) utilizzate, i non detti, i detti e le ragioni nascoste vengono minuziosamente notomizzate, per comprenderne la logica che le ispira e le guida. Va da sé, che la realtà non sta in questi termini. La politica è qualcosa di ben più complesso e articolato di un algoritmo matematico che, idealmente, vorrebbe esprimerla. Tale razionalismo, particolarmente funzionale alle liberal-democrazie, si presenta a sua volta come “mito” ed è soggetto a tutte le oscillazioni perturbanti causate dalla rimozione della dimensione simbolica. Il magistrale lavoro di Claudio Bonvecchio ci mostra come la politica abbia i suoi riferimenti privilegiati nelle strutture di pensiero inconsce, nelle figure archetipiche, nelle logiche mitiche e in una spazialità e temporalità che non coincidono con quelle, banalmente scientifiche, accreditate come uniche possibili da filosofi, commentatori, giornalisti e politicanti. Riprendere allora il contatto con queste dimensioni altre significherebbe un ripensamento davvero radicale della politica, una reale apertura, un nuovo cominciamento consapevole e responsabile delle identità e delle tradizioni in gioco.