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Tratto da "Artù nell'Etna":
"Per secoli fu creduto che Artù, mortalmente ferito in battaglia, non fosse mai morto, ma vivesse in luogo incantato e recondito, d'onde sarebbe, una volta o l'altra, per far ritorno e prender vendetta de' nemici del suo popolo e suoi. Si sa quale luogo tenesse nulla coscienza dei Brettoni vinti, ma non caduti di animo, sì fatta credenza: come intimamente si legassero ad essa i ricordi loro più dolorosi e le più accarezzate speranze: come tutto il sentimento loro di nazione trovasse in essa una consacrazione ed un simbolo. Alano de Insulis (m. 1202) ricorda come ai tempi suoi quella credenza fosse ancora così viva e comune in Armorica che il contraddirla avrebbe portato pericolo di lapidazione. Fra le genti d'altra stirpe la lunga e paziente aspettativa diede il tema a locuzioni proverbi ali notissime; e Arturum expectare tanto venne a dire quanto aspettar ciò che non può nè deve avvenire li: e speranza bretone fu sinonimo di speranza vana ed assurda. A sì fatta speranza sono frequenti accenni nei trova tori di Provenza 8, e dai trova tori di Provenza, se non da altri, avrebbero gl'Italiani potuto averne agevolmente contezza. Arrigo da Settimello, nel suo poema latino De diversitate fortunae et philosophiae consolatione, composto circa il 1192, la rammenta due volte[…]"