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La comicità di carattere appartiene all'alto comico, a quel comico, cioè, che presuppone un serio che possa essere negato. Anche la comicità di situazione - l'altra specie cioè dell'alto comico - ha le sue radici in un contrasto con una legge che può dirsi cosmica. Quelle ripetizioni infatti, quegli equivoci, quegli arresti che ci muovono a riso, sono altrettante distrazioni della vita e della natura, che nel loro concetto astratto non si fermano e non si ripetono. È, in altri termini, il principio del flusso perenne che risulta violato. Senonché questa violazione non ci può toccare - non ci tocca di fatto - nella nostra entità di uomini. In altri termini, qui, noi, non possiamo avere altro ufficio che quello di spettatori. Siamo invece attori - e quali attori! - nel comico di carattere, perché qui appare compromesso quello a cui è affidata la nostra più preziosa umanità: la ragione, cioè, intesa come arbitra della verità umana. Il mondo del carattere è il mondo dell'umano errore. Questo errore, per una segreta disposizione della natura, ci fa ridere, ma questo riso non altro esprime se non un modo di evadere dal turbamento che noi sentiamo per la verità offesa. Pertanto il carattere, se non si propone un serio per fine - (non ha velleità satiriche, non mira a riformare il costume) - affonda però nel serio le sue radici.
Del quale carattere il primo poeta in ordine di tempo è Teofrasto.
Teofrasto pare nato fatto per l'indagine che dal carattere è richiesta. Egli legge nella umana ragione le storture collo stesso acume con cui - da quello scaltrito naturalista ch'egli è - legge nella natura le anomalie della terra e del cielo. Si direbbe un bizantino avanti lettera, tanta è la passione ch'egli ha di distinguere. D'ordinario, nel carattere, si cerca la varietà soltanto nella specie; Teofrasto non lascia di cercarla anche nel genere. In Shakespeare, in Molière, in Goldoni, per un Shylock, per un Arpagone, per un Don Ambrogio basta la qualifica di avaro; in Teofrasto l'avarizia ha tre volti: quello del gretto, quello dell'illiberale e quello del sordido. E il miracolo è questo, che quanto più l'indagine va in cerca di sfumature, e tanto più risulta equilibrata in se stessa. Nella mistura del serio e del comico, nessuno dei due termini tende a sopraffare l'altro. Per guanto Teofrasto provenga da una scuola fatta apposta per produrre dei moralisti, non si riscontrano in lui neppur lontanamente quelle arbitrarie digressioni moralistiche, che si ritrovano, per esempio, in così cospicua misura, in quello che fu detto il Teofrasto del suo secolo, cioè, in La Bruyère. E proprio per questo, il comico da parte sua non si abbandona mai a quelle esuberanze a cui nello stesso La Bruyère si lascia andare, quasi per rivalersi d'essere stato troppo sacrificato. Teofrasto che pur aveva - e lo dimostrava anche nelle sue lezioni - un talento di mimo, non ha mai sacrificato il suo mondo alle esigenze mimiche. E se classicità vuol dire non metter mai nell'effetto qualche cosa che non ci sia nella causa, Teofrasto può dirsi un classico in pieno ellenismo; e classici possono dirsi i suoi personaggi. I quali - anche perché sono colti, più che nel loro modo di pensare, nel loro modo di agire - par che non ad altro aspirino che ad esser portati sulla scena; ed anche presi così, come sono, costituiscono un ghiotto repertorio teatrale. È una proposta che Teofrasto fa per il dramma comico del tempo a venire. Ma di siffatta proposta non è tenuto conto né in Grecia né in Roma.
Introduzione
Teofrasto e il comico di carattere
La «Mandragola» di Machiavelli
La favola nel teatro comico e nella Commedia dell'arte
Molière e la comicità di carattere
Classicità del carattere
1. Goldoni e la commedia di carattere
2. La morale goldoniana
3. Goldoni allo specchio
Decadenza del carattere nel comico del teatro verista
Incompatibilità del carattere col mondo di Pirandello
1. L'umorismo di Pirandello
2. «Sei personaggi in cerca d'autore»
3. I tre miti di Pirandello