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Nel 1939, nell'imminenza della guerra, il giovane Roger Caillois, allievo di Marcel Mauss e sodale di Georges Bataille e di Michel Leiris, licenzia un libro che nei decenni a venire nessuna indagine sul sacro potrà ignorare. Il fremito di orrore e l'estasi inebriante, in cui una lunga tradizione di pensiero, da Sant'Agostino a Rudolf Otto, riconobbe la reazione ambivalente dell'uomo di fronte al sacro, pervadono ancora le pagine di Caillois e vi allentano la tensione specialistica per far posto alla totalità, come ebbe a dire Bataille; ma qui la polarità di tremendum e fascinans, la funzione alternativamente inibente ed eccitante del sacro, concorrono più specificatamente a delinearne la sintassi, intesa a snudare il legame socila che si instaura attraverso il sistema di interdetti o, soprattutto, attraverso le trasgressioni periodiche affidate all'atmosfera sacrificale e rigenerante della festa. Ed è proprio nel sacro sinistro, di trasgressione, che il Caillois teorico di un sacro attivista e teurgico sembra intravedere la possibilità di risocializzare la nostra modernità esangue e i giorni senza domani dei piaceri centellinati, rimettendo in onore quell'ebbrezza arcaica che, per ora, sa esprimersi solo nel parossismo della festa nera costituita dalla guerra.