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"Pochi scrittori hanno, come Kierkegaard, affidato alla preghiera il conforto della propria vita e la soluzione del suo enigma. Si può dire veramente ch'egli è stato un «uomo di preghiera» ed è per questo ch'egli è diventato, anche come scrittore, un «classico dello spirito»: sappiamo da lui stesso che al mattino e alla sera si metteva in preghiera per ottenere quella benefica distensione interiore senza la quale l'altissima tensione dell'animo l'avrebbe ben presto spezzato, come difatti lo spezzò a 42 anni appena, l'11 novembre 1855.
La formazione pietista avuta nell'infanzia, quando frequentava col padre la «Comunità dei fratelli», l'assidua familiarità cogli scritti dei grandi mistici medievali (Imitazione di Cristo, Taulero, Blosio…) impressero al suo spirito una infinita nostalgia del Bene supremo che lo salvò dalle aberrazioni giovanili e dai tortuosi viluppi della filosofia. Per lui «pregare è respirare», è la capacità di «essere rinnovato» nella vita con Dio (Diario, 1848, IX A 462). La preghiera è il compendio della sua filosofia: «Il punto di Archimede fuori del mondo è una cella di orazione dove un orante prega con tutta la sincerità del cuore: costui muoverà la terra. Se al mondo esistesse un simile orante, è incredibile quel che potrebbe fare quando si ritira nella sua cella» (Diario, 1848, IX A 115).[...]"