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Gora, il protagonista di questo romanzo, è l'antesignano o meglio la pre-figurazione poetica di Gandhi e dello stesso Nehru. Gandhi, come Gora, anche lui si convince che solo con una fedeltà ad oltranza all'induismo si può salvare la patria indiana. Senonché il protagonista di Un Dio per tutti, sul quale incombe una fatalità tutta occidentale, viene riscattato dalla pìetas di cui l'autore ha intriso la fitta rete narrativa di questo libro, che sarà una rivelazione per quanti conoscono Tagore soltanto come uno dei più grandi lirici del nostro secolo. Qui il cantore di Gitanjali si rivela un acutissimo osservatore (e testimone) dei più sottili sommovimenti dell'animo, uno psicologo attento alle sfumature, così raffinato da potersi Porse paragonare col nostro Manzoni, specie nella conoscenza delle delicatezze del cuore: come Manzoni poi contraddice Gide quando sosteneva che con i buoni sentimenti non si fanno buoni libri.
Non può non stupire la costante realistica che rende il romanzo (scritto nel 1911 ma quasi sconosciuto da noi) di agevolissima lettura, dinamico, costruito com' è con una tecnica che sembra di oggi. Attorno al protagonista ruota una folla di personaggi che difficilmente saranno dimenticati dal lettore: Binoy l'intellettuale, il saggio Paresh Babu, la dolce Sucharita, l'inquieta Lolita, e tanti altri; ma sopra tutti si staglia Anandamoyi, la Madre, un personaggio davvero immortale la cui tenerezza permea ogni pagina del libro.
L'accademico di Francia Jean Guéhenno, in occasione della morte di Nehru, ha scritto che Tagore è stato il vero anello di congiunzione tra Oriente e Occidente e che il suo «umanesimo integrale» tendeva all'intesa dei popoli al di sopra delle divisioni, comprese quelle di natura religiosa. Se nella coscienza degli uomini _ sembra dire Tagore - c'è una giustizia uguale per tutti, ci sarà anche un Dio dinanzi al quale tutti ci riconosciamo fratelli.