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Bonagiunta Orbicciani (1220 circa - ante 1300) compare in un importante episodio del Purgatorio, dove fra l'altro pronuncia quell'espressione, «dolce stil novo», che il De Sanctis trovò appropriata per distinguere dalla precedente, siciliana e siculo-toscana, la poesia che ancor oggi chiamiamo appunto stilnovista. Di questo notaio lucchese i canzonieri conservano un consistente manipolo di rime: dodici canzoni, due discordi, cinque ballate (i più antichi esemplari 'firmati' del genere) e una ventina di sonetti, alcuni di corrispondenza: notissimo è lo scambio con Guinizzelli. L'unica edizione completa delle sue poesie fu procurata nel 1905 dal Parducci.
Questa nuova edizione consente una più precisa messa a fuoco storico-letteraria dell'Orbicciani e una complessiva rivalutazione del suo rilievo, specie sul versante della poesia politico-civile. Vicina alla radice siciliana e immune da influenze guittoniane, la sua 'maniera' affabile può aver incoraggiato alcuni rimatori, in particolare fiorentini, a illimpidire il loro stile; comunque sia, Dante - a cui non erano sfuggiti i tratti municipali della sua lingua - non disdegnò di trarre spunto da certe sue affermazioni sulla liberalità per correggerne la portata. Sul piano euristico le sue tematiche, così come le molte immagini che impreziosiscono i suoi versi, risultano tutt'altro che consunte. Notevolissime infine certe sue innovazioni tecniche, in particolare metriche: gli si deve fra l'altro l'invenzione di un verso di tredici sillabe.
Se insomma Bonagiunta figurava finora nelle storie della letteratura appiattito fra i tanti "minori" appartati e piuttosto ininfluenti, un esame più approfondito ed esteso consente di mettere in luce la sua singolarità e il suo ruolo decisamente innovativo.