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La contrapposizione di religione e mistica schiera – come nota Fichte – dogmatici e idealistici, gli uni difensori di una verità oggettiva, gli altri del libero procedere dell'intelligenza che incessantemente coglie la propria finitezza. Queste pagine – introiettando la lezione del mondo greco (Plotino), cristiano (Paolo e la patristica), e della teologia e filosofia tedesca (Eckhart, Silesius, Hegel) – vanno al cuore della problematica mostrando la dialettica interna tanto all'illuminismo quanto al cristianesimo: in entrambi ateismo è negazione di un Dio ridotto a idolo, ma è anche il movimento stesso della ragione e della fede che, riflettendo su questo paradosso, si spingono oltre. È il caso della grande tradizione mistica, qui ripresa e elaborata: un sapere e credere – per niente affatto "misterioso" – che non si oppone alla chiarezza della ragione ma rifiuta di annullare Dio asservendolo a "soggetto" o "oggetto"; una via che riconduce allo Spirito, in un distacco intellettuale prima che materiale. Spirito interpretato dall'autore come Logos universale: libertà, per ognuno, di disoccultare l'infinita apertura dell'essere, di Dio, che «è dappertutto e in nessun luogo».