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Giuseppe Sermonti da molti anni si dedica a una serrata riflessione intorno alla scienza e alla sua pretesa di elaborare la sola spiegazione valida della realtà. Denunciando la sua presenza sempre più invadente, compie una sorta di «percorso a ritroso», recuperando come termini di confronto i saperi che la scienza ha messo in disparte negli ultimi due secoli: la religione e la tradizione popolare, interpretazioni diverse ma coerenti della Natura e della sua sacralità. Affascinato dalla struttura simbolica della vita, dalle sue leggi eterne e ordinate, Sermonti mette in discussione il metodo scientifico quale unica via di accesso alla verità e rivitalizza il senso della fiaba, intesa come rappresentazione delle strutture profonde dell’Universo, come narrazione allegorica delle attività fondamentali dell’uomo, la caccia e l’agricoltura innanzitutto. In particolare, in quest’opera ormai classica – edita per la prima volta da Rusconi nel 1989 – Sermonti propone un’esegesi chimica (alchemica) di alcune delle fiabe più famose, da Biancaneve a Cappuccetto Rosso, a Cenerentola, e ne svela i significati perduti collegati all’estrazione e lavorazione dei metalli. Come ha scritto Elémire Zolla, riunendo i fili di miti e simboli appartenenti a varie culture, Sermonti ricerca nelle fiabe «i sempre uguali archetipi della metamorfosi [che] si esprimono via via come luna nera, cava e piena; come pietra grezza, opera chimica e fulgore liberato; come seme, pianta crescente, fiore».