1897: l’età vittoriana è giunta al suo apogeo, Londra è il centro del mondo. Tale considerazione coronava il primo volume di Tutto Dracula, su un romanzo che rappresenta un vero e proprio precipitato dell’intero orizzonte vittoriano, dei suoi sogni e delle sue paure. Lì il vampiro giungeva a far deragliare la visione della realtà dei personaggi, infiltrandosi nel mondo moderno.
La seconda e conclusiva parte vede ora il suo confronto con gli eroi, in un dedalo londinese di cimiteri (lo scioccante salvataggio/stupro di Lucy vampirizzata), bassifondi, case vuote in vie eleganti di Piccadilly; e poi in viaggio, verso Oriente, fino a una Transilvania dove sul parapetto del secolo nuovo si consuma una battaglia dal retrogusto escatologico, per salvare il mondo e l’incantevole Mina.
Se l’incontro con Dracula spinge a ripensare la realtà in una sfida ai paradigmi assestati («credere cose per voi impossibili», sintetizzava il professor Van Helsing), lo scontro presenta insieme tratti epici e profonde ambiguità. Il fantastico è anche un linguaggio dell’ambiguità, che sfida a confrontarsi con tale categoria: tanto più utilmente oggi, in un tempo di semplificazioni e scarsa memoria. La realtà è complessa, ambigua: il fantastico ce lo ricorda.