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Carlo Michelstaedter (1887-1910) ha consegnato a La persuasione e la rettorica, forse insieme con l'implicita spiegazione delle ragioni del suo suicidio, il più desolante messaggio teoretico sulla vanità e sull'insignificanza della cultura del corpo e della civiltà del lavoro.
Questo saggio vuol essere l'esame critico di un autore la cui «rettorica» antilavoristica e «incivile», risulta assolutamente inattuale. La città degli uomini, nel suo fondamentale assetto borghese-capitalistico, resta pur sempre quella spietatamente denunciata da Michelstaedter. Ma solo con alle spalle la più negativa e nichilistica metafisica della gioventù, quella alla quale si riduce la michelstaedteriana filosofia della «persuasione», si può ritenere che in essa l'uomo viva «una vita che non è vita», cui si debba preferire la morte.
In un momento non solo culturale di michelstaedterismo teoreticisticamente e contraddittoriamente esibito, si difendono i valori storici e civili della città e del lavoro e, più ancora, l'immagine di un uomo che proprio nella città e nel lavoro, battendosi per far giusta l'una e meno alienante l'altro, trova la sua dimensione più autentica.
Sommario
Michelstaedter mitteleuropeo: tra il codice austriaco e la hegeliana filosofia della storia
La critica della botte di ferro in cui si chiude l'individualità ridotta
Lo spirito gyntiano dell'uomo di Michelstaedter
Contro l'educazione civile come educazione corruttrice
La repubblica di Platone come hegeliana comunella dei cattivi
È veramente vita che non è vita, quella civile?
Conclusione: le ragioni della città e del lavoro
Note al testo