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«I realisti del tipo di un Rami mi disgustavano, perché con il loro sano buon senso soffocano ogni sacro fuoco. Per contro, mi piacevano persone come il Mulay Abdallah. Le sue idee erano alquanto confuse, ma egli sollevava l'uomo da terra, nel regno della fantasia. Forse sono i pessimisti, i criticoni ad avere ragione, quegli eterni guastafeste», dichiara André Kaminski nel corso della sua narrazione. E così dicendo rivela implicitamente qual è lo «spirito» di tutti questi splendidi racconti africani: cogliere nelle situazioni, nella psicologia dei personaggi, nel loro fare o non fare, la scintilla di quel «sacro fuoco» che, a onta di tutto, continua a sprizzare qui e là per i continenti con l'ostinazione della vita stessa. Quello che Kaminski chiama il «balenio dell'antimateria» può scoccare negli occhi dell'algerino Genfud, che proclama disperatamente il proprio diritto alla vita, oppure scaturire per effetto di qualche sortilegio anche superstizioso, di qualche rito anche «cannibalistico», in una sperduta landa dell'Africa equatoriale... Ogni volta che sprizza quel bagliore, una «legge di natura» viene rovesciata: lo spirito diventa più forte della carne, la logica non riesce a vincerla sull'irrazionale... Allora, la fantasia diviene soltanto il riflesso di un'altra, di una seconda realtà; e i nostri sogni sono l'immagine del possibile.