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Una estrema confusione ha regnato sempre nell'uso dei termini relativi all'immaginario. Forse bisogna supporre che un tale stato di fatto derivi dall'estrema svalutazione che ha subìto l'immaginazione, la "phantasia", nel pensiero dell'Occidente e dell'Antichità classica. Qualunque ne sia la causa, di fatto i termini di "immagine", "segno", "allegoria", "simbolo", "emblema", "parabola", "mito", "figura", "icone", "idolo", ecc. sono utilizzati indifferentemente l'uno per l'altro dalla maggioranza degli autori.
La coscienza dispone di due maniere di rappresentare il mondo. Una diretta, nella quale la cosa si presenta essa stessa allo spirito, come accade nella percezione o nella semplice sensazione. L'altra indiretta quando, per una ragione o per un'altra, la cosa non può presentarsi "in carne ed ossa" alla sensibilità, come ad esempio nel ricordo della nostra infanzia, nell'immaginazione dei paesaggi del pianeta Marte, nella rappresentazione degli elettroni che girano attorno al nucleo dell'atomoo o di un al di là che sta dopo la morte. In tutti questi casi di coscienza indiretta, l'oggetto assente viene ri-presentato alla coscienza da una immagine, intesa nel senso largo del termine.