Estratto dal testo.

Mi si consentano due parole sul carattere dei miei materiali.
Non sono frutto di ricerche ed esperienze altrui, ma di lunghi, pazienti contatti personali. In Libia, per ben tredici anni (due in Tripolitania e undici in Cirenaica) ho trascorso tutte le ore libere dall'insegnamento dell'arabo, tutte le lunghe serate invernali - e talora anche le notti - nelle case arabe, confusa tra le indigene, attingendo a quella fonte sempre viva, inesauribile, che è la donna, la più gelosa, tenace conservatrice delle tradizioni, la sola depositaria di cerimonie e pratiche e riti, ignorati perfino dai nativi dell'altro sesso, ai quali sfuggono i lati più intimi e significativi dell'ambiente femminile. Lì, confusa tra tante, riuscendo a far dimenticare la diversità di origine, di religione, partecipando a chiacchere, a feste, a lutti, a pratiche magiche; vivendo, insomma, la loro vita.
Di solito, nel lavoro di indagine, non avevo schemi prestabiliti; seguivo l'umore delle donne, rlcevendo quel che mi ammannivano, secondo le circostanze. Nel raccogliere novelle, leggende, più volte mi trovavo immersa negli stessi filoni che altre correligionarie avevano aperti, in situazioni e per argomenti ben differenti; un filo conduttore unico, che acuiva in me il bisogno della ricerca, in quel mondo libico, estremamente composito, che è stato la confluenza di tante correnti umane. Infatti, credenze, usanze, non sono sempre, e in tutto, esclusivo patrimonio delle attuali popolazioni, ma van messe a raffronto con l'intero patrimonio dell' Africa Settentrionale, e anche con quello di vari paesi musulmani, nonché di altre genti ed altre epoche...