Cinque anni dividono i due trattati qui proposti, l’Opera del modo de fare le littere maiuscole antique, con mesura de circino, et resone de penna di Francesco Torniello e La operina da imparare di scrivere littera cancellarescha di Ludovico degli Arrighi, il primo edito a Milano nel 1517, il secondo a Roma nel 1522. Eppure tra le due opere non ci potrebbe essere distanza maggiore. Non tanto per i modelli ai quali guardano, che per l’una e per l’altra sono ancora i maestri di fine Quattrocento, quanto per il modo stesso di concepire l’opera e per la sua destinazione. Nella Milano del Borbone e poi del Lautrec l’oscuro «Francisco Torniello da Novaria scriptore professo» si propone una trattazione dedicata alle «littere maiuscole antique», in particolare a uno specifico «modo de fare» quelle lettere sulla base di «mesura de circino, et resone de penna»; nella Roma di Adriano VI ma ancora culturalmente medicea il più celebrato calligrafo del momento offre un’interpretazione personale e raffinata della «littera cancellarescha».
La fortuna editoriale dei testi, limitata alla princeps per la stampa del 1517, estesa invece a una serie di riprese e attualizzazioni per quella del 1522, è indice della scarsa incidenza dell’opera del Torniello, ristretta a quanti erano impegnati nel recupero della capitale antica finalizzato alla produzione pubblica di quella specifica scrittura, e al contrario del riscontro ampio di quella dell’Arrighi, in grado di raggiungere il pubblico piú vasto dei professionisti della scrittura e dei cultori dell’arte tipografica. A riprova del fatto che mentre la parola del novarese interviene nel dibattito ristretto degli specialisti, quella del vicentino è destinata a rappresentare il verbo di riferimento della nuova cultura grafica, tanto di quella dei copisti quanto di quella degli stampatori.