Estratto dalla Introduzione
[...] Proponiamo in questo volume una nuova traduzione dei due testi che riguardano S. Romualdo (nato a Ravenna, ca. 952, morto a Val di Castro, 1027) e che riportano la testimonianza dei suoi discepoli: La Vita dei cinque fratelli di S. Bruno-Bonifacio di Querfurt e la Vita del Beato Romualdo di S. Pier Damiano.
Ora, fra una vita vissuta e una vita scritta c'è a volte una tale differenza che la lettura di questa non aiuta, bensì impedisce al lettore la comprensione del vero senso di quella.
Pensiamo a Thomas Merton. Più di un quarto di secolo è passato da quando è morto, eppure questo monaco americano rimane in gran parte ancora da scoprire. Restano inediti molti suoi scritti, fra diari intimi, corrispondenza, saggi vari e corsi registrati su nastro; questi, una volta pubblicati, andranno ad aggiungersi alla sessantina di titoli usciti mentre era in vita. Ma alla fine riusciremo a capire pienamente il senso del suo pensiero e della sua vita? Chi scopre il Merton monaco e scrittore leggendo La Montagna dalle sette balze non può dire di conoscerlo; il lettore se ne rende conto quando passa da questa autobiografia giovanile ai saggi e ai diari della piena maturità. Il biografo di Merton, Michael Mott, afferma che in tutti i suoi scritti, anche nei saggi appparentemente più oggettivi e staccati, il poeta trappista cercava sempre di raccontare se stesso, i suoi sentimenti, le sue sensazioni, il suo ambiente; eppure Merton, l'eterno autobiografo, ci lascia un'immagine di sé con delle zone opache che forse mai saranno rese trasparenti. Merton resta in qualche modo un "mistero".
Il mistero si infittisce quando da un nostro quasi contemporaneo si passa a un uomo vissuto mille anni fa, a San Romualdo appunto. Oltre tutto, Romualdo non ha lasciato niente di suo pugno, e questa Vita scritta da Pier Damiano è nient'altro che una biografia. Ci si pone la questione: «Come possiamo conoscere S. Romualdo così com'era veramente?». Ma ricordiamo:anche S. Pier Damiano si trovava dinanzi allo stesso dilemma. Egli non aveva mai conosciuto l'eremita ravennate, sebbene avesse vent'anni quando questi morì. Il Damiano, formato da retore e dotatissimo come scrittore e come pensatore, in che modo avrebbe potuto capire il suo santo concittadino, un uomo più di azione e di esperienza che di pensiero, che appena sapeva leggere e scrivere e che si esprimeva più col linguaggio dei gesti - ora eccentrici, ora giocosi, ora contestatari, alla maniera di Ezechiele profeta - che con le parole?...