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Dall'Introduzione di Massimo Marra:
«Trovandomi, non sono molte sere, siccome spesso far soglio, nella camera del non meno cortese e virtuoso, che nobile e giudizioso Signore, il Sig. Don Pietro di Tolledo, dove insieme con molti altri signori, e Gentiluomini erano il Sig. Giordano Orsino, il Sig. Don Carlo Cardines, M. Pirro Musofilo, Signore della Sassetta, M. Pasquino Bertini, e un Dottore Spagnuolo, di cui ora non mi sovviene il nome, doppo varii ragionamenti, così d’armi, come di lettere, si venne, in non so che modo, a favellare della Archimia; nella qual cosa come suole avvenire quasi sempre, furono i pareri molti, e molto diversi, perciocché alcuni lodandola per vera et approvandola per buona, la preponevano all’altre arti e scienze tutte quante, inalzandola come sapevano il meglio.»
Opera incompiuta dell’umanista Benedetto Varchi, Questione sull’Alchimia è strutturata secondo la classica forma della quaestio di matrice aristotelica, con un esame dei pro e contro che riflette alcuni dei cardini principali di una polemica che si protraeva dal Medioevo, e che continuava, nel XVI secolo, a essere alimentata da detrattori e partigiani. Benedetto Varchi non fu alchimista, e il suo interesse per la materia non fu che episodico; ciò nonostante, proprio per il carattere occasionale della Questione, che non puntava a rivolgersi a un pubblico specialistico ma rispondeva piuttosto alla richiesta di un autorevole potente del tempo (essa viene scritta alla corte fiorentina di Cosimo I, a istanza di Pedro da Toledo, vicerè di Napoli) desideroso di dirimere le difficoltà di un dibattito culturale che doveva essere percepito come attuale e rilevante attraverso la sintesi di un autorevole intellettuale del tempo, essa costituisce un indice prezioso della percezione che, dell’alchimia, poteva avere una parte della classe colta del XVI secolo.