Lo studio di Beatrice Motta costituisce un contributo di particolare interesse per quell'ambito degli studi filosofico-religiosi che, a causa della loro collocazione ‘di frontiera’, richiedono un metodo non facile e una particolare competenza – e per questo motivo sono assai rari. Una ricerca sul Contra fatum di Gregorio di Nissa, infatti, coinvolge una serie di problemi che hanno attinenza con la tradizione culturale cristiana e quella pagana insieme. Almeno fin dal secondo secolo d.C., i primi scrittori dell'apologetica cristiana avevano negato decisamente l'esistenza del fato, in quanto tale credenza avrebbe annullato il libero arbitrio umano e impedito ogni merito che potesse giustificare la salvezza dell'uomo; d'altra parte, la storia del pensiero greco e latino nell'età imperiale ci mostra come tale questione fosse sempre stata sentita particolarmente spinosa e di difficile soluzione. Gregorio di Nissa, quindi, si pone come punto di incontro — e di polemica – tra le due visioni contrapposte, quella cristiana e quella pagana. A questo si aggiunge una difficoltà ulteriore, e cioè che la questione del fato si era complicata in età imperiale a causa dell'incidenza che su di essa aveva assunto, e sempre più aveva sviluppato, l'interesse per l'astrologia, manifestazione e simbolo insieme della forza fatale. Una questione, questa, tanto più difficile quanto più diffusa era stata, soprattutto nei secoli del tardo Impero romano, la credenza nella astrologia, non solo tra i filosofi o le persone colte, ma anche negli strati più vari della società.
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