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"Nella realtà socioculturale del mondo arabo, che si estende su una vasta area geografica, dal Nord Africa fino alla terra dei due fiumi in Asia, tanto oggi come nei secoli passati, si possono verificare diverse forme spettacolari e manifestazioni rituali dove il corpo umano, con la sua espressività, costituisce inconfutabilmente una presenza significativa." Da qui parte il viaggio iniziatico nell'universo della danza arabo-islamica guidato da Kassim Bayatly, regista e attore iracheno autoesiliatosi in Italia, dove - grazie a spettacoli, seminari, dimostrazioni e pubblicazioni - analizza e diffonde i segreti della cultura della sua terra, unificando in sé le figure del danzatore e dello studioso, divenendo ponte tra due civiltà ma anche tra le contrastanti spinte della tradizione e della ricerca. Dalle "protodanze" dei contadini arabi ai "movimenti rotanti" dei maestri sufi, dalle pratiche rituali dei santuari alle oda lische delle corti dei califfi, dalle feste popolari alle calde atmosfere dell'hammam, tra storia e tecnica l'autore descrive un mondo conosciuto in Occidente perlopiù nelle sue forme stereotipate, e restituisce la varietà di gesti, ritmi, melodie, costumi attraverso cui il corpo, "sotto i cieli dell'lslam", diviene danzando il "veicolo dell'anima". Nel libro, concepito come un percorso a tappe, le parole dialogano con immagini antiche e moderne, che smentiscono l'idea diffusa dell'iconoclastia islamica, mentre le introduzioni di Claudio Meldolesi ed Elisa Vaccarino inquadrano rispettivamente la contaminazione attuata da Bayatly tra le proprie origini arabe e le suggestioni di un certo teatro occidentale, e le fascinazioni orientali di cui è intrisa la danza moderna. "Il napoletano di Enzo Moscato attinge tanto ai bassifondi (ai bassi e ai fondaci) della lingua che alla sua tradizione letterari più alta, al barocchismo dl favolista Basile, ma anche al lirismo dell'antica canzone. E il pastiche linguistico, al quale a volte ricorre, non è volto né a una maggiore leggibilità 'nazionale' del suo teatro né a esprimere lo sforzo piccolo-borghese di risalire, né a creare effetti comici (anche se questi due elementi non sono del tutto assenti), ma a trovare il luogo dell'incontro-scontro tra culture diverse, il porto franco dove si inventa un pidgin - funzionale ai traffici, ai commerci, agli scambi, ai viaggi, nelle prime quattro pièce, all'unicità della voce poetica, in Partitura. Una seconda rottura con la tradizione è nella costruzione stessa del dramma. I fatti cruenti che vi avvengono non vengono mai rappresentati, ma narrati, come nella tragedia greca, a volte da un solo attore, altre dal coro. Questo espediente narrativo-rappresentativo è tanto più efficace e straniante in una società in cui i fatti più efferati sono sotto gli occhi indifferenti di tutti, fotografati o filmati. Le voci di Enzo Moscato 'si vedono' - e vedere le voci è poesia, 'udire le voci' chissà, santità, imbroglio o follia (e non manca, in queste pièce, chi 'ode le voci'). (dall'introduzione di Fabrizia Ramondino) Enzo Moscato, nato sui Quartieri Spagnoli, laureato in filosofia, autore, attore, regista. Tra le altre opere per il teatro: Carciofolà (1978), Scanna play sùrice (1980), Signurì, signurì (1982), Trianon (1983), Bloody sister (1987), Occhi gettati (1989). Ha vinto il Premio Riccione/Ater (1985), il Premio Ubu (1988), il Premio IDI (1988).